Storie di vino “falso” – Dalla cronaca di questi giorni alla recente storia giudiziaria di un evergreen: la frode in commercio
In uno degli ultimi post, ci siamo occupati di frodi in ambito oleario.
Una delle altre grandi riserve di caccia per truffatori, frodatori e contraffattori vari, com’è noto, è il vino; più precisamente, il vino di qualità, ossia a denominazione di origine controllata o a indicazione geografica tipica.
Anche questo tema aveva costituito oggetto di un articolo pubblicato su questo blog (uno dei primi, peraltro), in cui avevamo trattato la vicenda del geniale “Prosecco bulgaro”.
Ma, per stare sull’attualità truffaldina, è di pochi giorni fa la notizia di un’operazione dei Nas di Firenze che ha riguardato una partita di bottiglie IGT “Rosso Toscana”: il produttore aveva indicato, in etichetta, una produzione di soli trecento pezzi, per simulare un maggior pregio, quando in realtà le bottiglie prodotte erano quasi tremila, per la precisione 2666.
Anche in questo caso, naturalmente, è scattata la denuncia per frode in commercio, la figura di reato già trattata nel post precedente.
A questo punto, è forse il caso di dedicare qualche parola in più a questo delitto, dato che nei procedimenti penali in materia di truffe e imbrogli sul cibo è pressoché onnipresente, come si nota; salvo poi salire di livello con le imputazioni quando, a queste condotte dei responsabili, se ne aggiungono altre che creano pericolo, se non proprio danno, per la salute pubblica e individuale dei consumatori.
La frode in commercio viene commessa da “chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita”, per usare le parole dell’art. 515 del codice penale, che è la norma di riferimento.
Il cuore del reato, come si dice in ambito giuridico, è la consegna da parte del venditore di “aliud pro alio”, una cosa al posto di un’altra rispetto a quella che ha costituito oggetto dell’accordo tra chi vende e chi compra.
Questo crimine ha una storia antichissima, e questa constatazione potrebbe dire parecchio sulla “natura umana”, o quantomeno sulla natura di tanti umani.
Divagazioni antropologiche a parte, la repressione della frode in commercio, infatti, è una costante di ogni ordinamento giuridico. Già nell’antico Egitto si rinvengono disposizioni volte a punire gli attentati alla fiducia commerciale e a Roma, le frodi erano tanto frequenti che fu istituito un magistrato ad hoc, il Prefetto dell’annona. All’epoca dei comuni, la repressione del fenomeno frodatorio è ampia e severa, come attesta la dettagliata casistica di vari statuti comunali in materia di vendita di generi alimentari di prima necessità (pane, farine, sale, vini, ecc.)
Per venire a tempi assai più vicini a noi, prendendo spunto dalla storia illegale da cui siamo partiti, può risultare interessante – sia per gli addetti ai lavori che per i semplici interessati alla materia – una rapidissima carrellata di alcune tra le più recenti vicende di frode in commercio in materia di vino approdate in Cassazione.
La prima sentenza che merita una citazione è del 2013. Arriva alla Suprema Corte uno dei tanti fatti di vino “zuccherato” (anche sullo spinosissimo fenomeno dello “zuccheraggio” si possono trovare, in questo blog, alcuni contributi), e i giudici del Palazzaccio sanciscono che “è configurabile il reato di cui all’art. 5, lett. a), L. n. 283/62, in concorso con il delitto di tentata frode in commercio, nel caso di aggiunta ad un vino di acqua e barbabietola da zucchero, tale trattamento variando la composizione naturale del prodotto, a prescindere dalla sua nocività”. In quel caso, non c’era stata la consegna del bene (ossia, del vino) dal venditore al compratore, per questo la frode è solo “tentata”; in compenso, il responsabile è stato condannato anche per il più lieve reato previsto dalla legge del 1962 che scatta in presenza di “sostanze alimentari [….] private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale”. (Cass. pen. Sez. III, 23/10/2013, n. 46183)
Meno di due anni dopo, è la volta di un soggetto che cerca di ottenere l’idoneità per la commercializzazione di un prodotto falsamente designato come vino DOC Salice Salentino “Riserva”: viene, quindi, imputato anch’egli di tentata frode commerciale. Nella lunga pronuncia, la Cassazione afferma, tra gli altri, un principio fondamentale in questa materia: l’unico modo perché un prodotto “alterato” non integri il reato di frode in commercio è che esso semplicemente non venga destinato alla vendita. Se, invece, la destinazione di quel prodotto è proprio la vendita, la fattispecie di reato in questione scatta inevitabilmente, quantomeno nella forma tentata (come si è visto sopra), senza che sia necessaria neppure una “contrattazione finalizzata alla vendita, essendo sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite” (Cass. pen. Sez. III, Sent., -ud. 20-05-2015 – 16-06-2015, n. 24989) Se poi vi sarà anche la materiale consegna del prodotto, allora la frode sarà pienamente consumata.
L’ultima vicenda che si prende brevemente in considerazione riguarda una partita di bottiglie di vino bottiglie destinate al mercato danese e sequestrate poiché non erano presenti al suo interno i vitigni corvino, croatina e rondinella, contrariamente a quanto risultante dalle indicazioni sulle etichette apposte sul retro delle bottiglie. Ebbene, anche in questo caso, la Suprema Corte ha ritenuto sussistesse il reato di tentata frode in commercio “in ragione della diversa composizione del vino detenuto per il commercio dall’imputato rispetto a quanto indicato nelle etichette apposte sul resto delle bottiglie.” (Cass. pen. Sez. III Sent., 23/03/2016, n. 28354)
In conclusione, la storia di questo reato, anche in ambito enoico, viene da lontano. Il problema principale, però, è che in assenza di adeguate riforme degli strumenti di contrasto (come quelli di natura penale cui si accennava nel post precedente), minaccia di andare altrettanto lontano. Non sarebbe una bella prospettiva per la genuinità del cibo che mangiamo e del vino che beviamo, specie quelli di qualità.
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