Sugar tax: quando le tasse fanno bene alla salute
“Epidemia globale”: così l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) definiscono la diffusione dell’obesità nel mondo.
Per contrastare quest’epidemia, si devono attivare tutte le possibili misure; a partire da quelle normative.
Per questo, 10 società scientifiche e oltre 320 medici, nutrizionisti, dietisti hanno inviato una lettera aperta al Ministro della salute per perorare la causa di “una tassa progressiva sullo zucchero aggiunto alle bibite e ad alcuni prodotti alimentari”. (https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2018/10/Lettera-aperta-al-Ministero-della-salute.pdf)
Zucchero aggiunto che, evidentemente, con quell’epidemia deve avere molto a che fare.
È la cosiddetta “sugar tax”, un provvedimento già adottato in vari Paesi – dalla Gran Bretagna alla Francia, dalla Finlandia al Messico – che pare stia dando buoni risultati.
Non foss’altro perché quella tassa si sta rivelando un notevole incentivo alle aziende a modificare le ricette dei loro prodotti, abbattendo il tasso di zuccheri presenti.
E qui si apre una delle pagine più interessanti della vicenda.
Secondo gli scienziati che hanno sottoscritto la lettera, “l’eventuale introduzione di una tassa sulle bevande zuccherate e l’adozione di adeguate restrizioni per la pubblicità di prodotti alimentari destinati ai bambini, sono strumenti necessari per ridurre l’obesità e il sovrappeso nella dieta degli italiani.”
Questo perché “al contrario di quanto ipotizzano alcuni, l’educazione alimentare da sola non è una misura efficace contro l’obesità e la malnutrizione come dimostrano le esperienze degli ultimi decenni.”
In pratica, quando “i controinteressati” a quelle, pur benemerite e utili, campagne di educazione alimentare dispongono del potere di fuoco tipico delle multinazionali del “cibo – spazzatura”, allora bisogna farsene una ragione: i ragionamenti scientifici, i discorsi pedagogici, insomma le parole non bastano. Bisogna passare alle vie di fatto. Ossia, ai provvedimenti normativi; agli ordini, ai divieti e alle sanzioni di legge. E questo possono e devono farlo i pubblici poteri, le autorità preposte alla tutela della salute dei cittadini, specie di quelli più indifesi: i bambini.
Qualche anno fa, fu pubblicato su Lancet (su Lancet, non su un sito di fake news) uno studio scientifico, rimasto curiosamente semiclandestino.
Vi si leggevano assunti di questo tipo: “la regolamentazione, o la minaccia di regole e’ l’unico modo per cambiare queste corporazioni transnazionali’. L’approccio collaborativo, adoperato in Europa tra governi, industria, società civile e operatori di salute per insegnare alle persone a mangiare meglio, fare più esercizio e vivere sano, ‘e’ fallito. In futuro, le aziende di cibo, bevande e tabacco non dovrebbero avere alcun ruolo nelle politiche nazionali o internazionali sulle malattie croniche. Meglio un sistema di regole pubbliche, che faccia pressione direttamente sull’industria per aumentare la consapevolezza sulla sua condotta ambigua e mantenere attiva l’attenzione pubblica.” (http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/alimentazione/2013/02/12/studio-aziende-cibo-bevande-sabotano-politiche-salute_8234602.html?fbclid=IwAR1PXiNbxJ0xx1zqkAzuAQeI_bFCpfnhzU8t7-QW6UVfZxoamFkBUQlLzNg)
Appunto!
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