Vending machine: bevande e formiche – Su una recente sentenza della Cassazione
Il legale rappresentante della ditta proprietaria di distributore automatico di bevande posto presso il Policlinico di Messina viene condannato per il reato di cui alla L. n. 238 del 1962, art. 5, comma 1, lett. D perché “distribuiva per il consumo sostanze alimentari invase da parassiti, segnatamente delle bevande al cui interno venivano rinvenute formiche”.
Ricorre per cassazione sostenendo che “le formiche erano presenti anche all’esterno del distributore di bevande. L’incuria era, pertanto, ascrivibile alle condizioni della struttura sanitaria e non a chi gestiva la macchina erogatrice di alimenti e bevande.”
In tal senso, l’imputato afferma che mancherebbe, comunque, la prova della sua responsabilità perché “nessun controllo è stato effettuato sui singoli dispenser contenenti le sostanze alimentari e le bevande, con incertezza della presenza delle formiche nella polvere liofilizzata o nei liquidi.”
Infine, lamenta che “è stata disposta la confisca e la distruzione della macchina erogatrice delle bevande, senza nessuna motivazione. Potevano confiscarsi e distruggersi le sostanze alimentari (in cattivo stato di conservazione o alterati), ma non certo la macchina erogatrice.”
La Cassazione rigetta il ricorso nella parte relativa alla condanna dell’imputato, sulla base di principi di diritto del tutto consolidati nella sua giurisprudenza (Cass. pen. Sez. III, Sent., – ud. 30-11-2018 – 04-03-2019, n. 9279).
Più precisamente, lo dichiara in inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, nonché perché si “richiede alla Corte di legittimità una rivalutazione del fatto non consentita”, essendo il giudizio di Cassazione limitato ai meri profili di legittimità, ossia di diritto, della sentenza impugnata.
In particolare, la Suprema Corte afferma che non vi era alcuna “necessità per la configurazione del reato di prove di laboratorio sui singoli dispenser (per accertare se le formiche erano nelle polveri liofilizzate o nella sola bevanda), previo campionamento”.
In tal senso, indica una lunga serie di precedenti giurisprudenziali in cui si sancisce il principio per cui Infatti, “per l’accertamento del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b) e d) (disciplina igienica delle sostanze alimentari), ed in particolare per l’accertamento della condotta di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario procedere al prelievo di campioni ove i prodotti alimentari si presentino all’evidenza mal conservati.”
Il Supremo Collegio ricorda, peraltro, che “per la configurabilità del reato, inoltre, non è necessario l’accertamento di un danno alla salute”.
Anche su questo punto, la lista dei precedenti è lunga e solidamente fondata su questo assunto: “Il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, previsto dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b), è configurabile quando è accertato che le concrete modalità di conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine la produzione di un danno alla salute, attesa la sua natura di reato di danno a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura.”
Dopo aver nettamente respinto questi motivi di ricorso dell’imputato, la Corte accoglie, però, quello relativo alla confisca della macchina erogatrice “in quanto la sentenza impugnata omette qualsiasi motivazione” sul punto.
Anche in tal caso, la Corte non vede alcun motivo per discostarsi dalle sue massime consolidate per cui “in tema di confisca facoltativa (…) non è sufficiente motivare il provvedimento che la dispone affermando che il bene è servito per commettere il reato, alla luce della natura cautelare della stessa che tende a prevenire la commissione di nuovi reati.”
In pratica, il Giudice di primo grado avrebbe dovuto spiegare in sentenza perché lasciando la macchina erogatrice nella proprietà e nella disponibilità dell’imputato vi sarebbe stato un pericolo di commissione di altri reati da parte sua.
“La sentenza deve, quindi, annullarsi limitatamente alla disposta confisca dell’erogatore, con rinvio al Tribunale di Messina per nuovo giudizio sul punto.”
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