Vendita di alimenti scaduti: è reato?
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Da oggi, inizia la collaborazione di Anna Ancona, avvocata del Foro di Brindisi, con un intervento su un tema sempre caldo in materia di sicurezza alimentare, ripropostosi all’attenzione degli addetti ai lavori dopo una recente sentenza della Corte di Cassazione: la natura dell’illecito di vendita di alimenti scaduti.
Un caloroso benvenuto e l’augurio di buon lavoro da parte di CiboDiritto all’autrice; che si presenta così:
“L’avv. Anna Ancona ha conseguito nel 2010 la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma Tre, discutendo la tesi in diritto penale.
Ha successivamente svolto la pratica forense presso lo studio legale dell’avv. Stefano Palmisano, acquisendo competenze in particolari settori del diritto penale, quali la responsabilità medico- sanitaria, il diritto dell’ambiente, il diritto penale del lavoro e dei giochi e delle scommesse.
Da novembre 2013 è iscritta all’Ordine degli avvocati di Brindisi ed esercita la professione forense in maniera continuativa occupandosi prevalentemente di diritto penale, con particolare riguardo ai reati contro la famiglia e la persona ed approfondendo le proprie competenze in materia di violenza di genere e relative pratiche processuali.”
Non sussiste alcuna ipotesi di reato nella condotta di chi commercializzi prodotti alimentari anche dopo la data di scadenza riportata nella indicazione “da consumarsi preferibilmente entro il..” o “da consumarsi entro il..”, bensì un mero illecito amministrativo, a meno che non sia accertato in concreto lo stato di cattiva conservazione delle sostanze alimentari poste in vendita.
La vicenda.
E’ quanto ha stabilito la Suprema Corte, seconda sezione penale, con la sentenza del 18 aprile scorso, la numero 17063, che ha accolto il ricorso proposto dalla difesa di un uomo, condannato in primo grado per il reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, comma 1, lett. b), per aver posto in vendita, oltre la data di scadenza, quattro confezioni di latte in cattivo stato conservazione.
La legge in questione, riportante la disciplina igienica per la produzione e la vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, vieta all’art. 5 l’impiego nella preparazione di alimenti e bevande, la vendita, la detenzione per vendere o somministrare ai propri dipendenti o, comunque, la distribuzione di sostanze alimentari che siano in cattivo stato di conservazione.
Tuttavia, secondo la difesa del commerciante, la condotta in questione era stata erroneamente qualificata come sussumibile nella fattispecie di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, sul mero rilievo che il superamento della data di scadenza del prodotto integrasse l’elemento costitutivo del reato di cattivo stato di conservazione dell’alimento.
La decisione.
Ebbene, i giudici di legittimità hanno dato ragione alla difesa dell’imputato ritenendo che la commercializzazione di prodotti alimentari confezionati, per i quali sia prescritta l’indicazione “da consumarsi preferibilmente entro il…”, o quella “da consumarsi entro il…”, non integri, ove la data sia superata, alcuna ipotesi di reato, ma solo un illecito amministrativo, a meno che non sia accertato in concreto lo stato di cattiva conservazione delle sostanze alimentari. La Corte di legittimità conferma, dunque, il suo solido orientamento in questa materia, già illustrato in un precedente post relativo a una vicenda analoga.
Nel caso di specie, le analisi di laboratorio non avevano condotto a riscontrare anomalie circa la qualità del prodotto; perciò l’unico elemento da cui il giudice aveva dedotto la cattiva conservazione del latte era il mero superamento della data di scadenza riportata sulle confezioni, non essendo stata accertata alcuna inosservanza di prescrizioni dettate specificamente a garanzia della buona conservazione sotto il profilo igienico-sanitario e che mirino a prevenire i pericoli della loro precoce degradazione o contaminazione o alterazione, come invece richiesto perché possa dirsi integrato il reato contestato.
La norma di cui all’art. 5 della legge del 30 aprile 1962, n. 283, invece, mira a tutelare l’integrità delle sostanze alimentari dal momento della produzione a quello della distribuzione sul mercato e, quindi, anche a quello, rilevante, della loro conservazione. In tale prospettiva la data di scadenza del prodotto, là dove ne è prevista l’indicazione obbligatoria, non ha nulla a che vedere con le modalità di conservazione dei prodotti alimentari.
Diversamente, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno affermato il principio secondo cui il cattivo stato di conservazione delle sostanze alimentari riguarda quelle situazioni in cui le sostanze stesse, pur potendo essere ancora perfettamente genuine e sane, si presentano mal conservate, e cioè preparate o confezionate o messe in vendita senza l’osservanza di quelle prescrizioni dettate a garanzia della loro buona conservazione sotto il profilo igienico-sanitario e che mirano a prevenire i pericoli della loro precoce degradazione o contaminazione o alterazione.
Dunque, nella fattispecie in questione, l’imputato non aveva commesso alcun illecito di rilevanza penale, bensì il mero illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2017, art. 12, comma 3, prevede che, “salvo che il fatto costituisca reato, quando un alimento è ceduto a qualsiasi titolo o esposto per la vendita al consumatore finale oltre la sua data di scadenza, ai sensi dell’art. 24, e dell’allegato X del regolamento, il cedente o il soggetto che espone l’alimento è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 5.000 Euro a 40.000 Euro”.
Anna Ancona
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