Vini sostenibili: quelli da vitigni resistenti diventano DOP


Con un regolamento europeo dello scorso dicembre è stata modificata la normativa in materia di vini a denominazione di origine: ora possono fregiarsi del titolo di qualità anche quelli ottenuti da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie di vite. Alcune riflessioni sul concetto di vini Dop e dintorni, in previsione del webinar di stasera sulla giurisprudenza sul vino di qualità.

Indice

Metti una sera a cena

Vini da vitigni resistenti: cosa sono

Vini da vitigni resistenti: incroci, non OGM

Vini da vitigni resistenti: ora anche DOP

Vini sostenibili: dal naturale ai resistenti, una categoria “biodiversa”

La giurisprudenza sul vino di qualità: webinar formativo per aziende e addetti ai lavori

Metti una sera a cena

Metti una sera a cena in un ristorante della tua città.

Consulti la carta dei vini e leggi il nome di un vitigno che, a tutta prima, ti lascia perplesso perché non ti pare di averlo mai sentito prima: Bronner. Subito, però, realizzi che possa trattarsi di una tua vecchia conoscenza, una cultivar che fa riferimento a un tipo di vini del quale ti sei già interessato in passato, scrivendone anche su questo blog: i vini da vitigni resistenti1

Vini da vitigni resistenti: cosa sono

In estrema sintesi, si tratta di vitigni “creati” per resistere naturalmente all’aggressione dei funghi (peronospora, oidio); sono un genere molto ampio, tanto da comprendere al suo interno specie significativamente differenti tra loro: ibridi ottenuti con i metodi tradizionali di miglioramento genetico, PIWI2, esemplari derivanti dal cosiddetto editing genomico, News breeding technique (NBT) …

Prodotti diversi tra loro, come si accennava, sia nella sostanza scientifica e agronomica, sia nelle implicazioni ambientali e culturali, sia nelle prospettive regolamentari e commerciali.

Quello che li accomuna è il fatto che si tratta di operazioni tecnologiche e produttive che nascono da sensibilità, istanze e intenti di dichiarata aspirazione alla sostenibilità; come il cercare rimedi a una situazione ambientale nella quale la vite, fino a tre anni fa, occupava il 3% della superficie agricola europea ma consumava il 65% di tutti i fungicidi distribuiti nei campi, e oggi probabilmente non è mutata di molto.

Vini da vitigni resistenti: incroci, non OGM

In ogni caso, quelli di cui si tratta in questo articolo sono i vitigni resistenti frutto di incrocio interspecifico attraverso impollinazione e selezione, che dà vita a nuove varietà, non a organismi geneticamente modificati (OGM) o alle cosiddette “nuove tecniche di allevamento” (News breeding technique o NBT; in italiano, Tecniche di evoluzione assistita o TEA), che la normativa europea equipara, a tutt’oggi, agli stessi OGM3.

Vini da vitigni resistenti: ora anche DOP

Ebbene, l’elemento di grande novità in materia di regolamentazione dei vitigni resistenti frutto di incrocio è di qualche mese fa e proviene, com’è facilmente intuibile, dal legislatore dell’Unione Europea: è stata modificata4 la normativa fondamentale del vino a denominazione di origine5 nel senso di prevedere la possibilità che un vino DOP possa essere ottenuto anche da un vitigno resistente.6

Insomma, dai vitigni resistenti ormai si possono ricavare vini di qualità anche in senso strettamente normativo.

Com’era prevedibile, la notizia ha scatenato reazioni di segno molto diverso tra di loro, anche opposto.

In particolare, si registrano intransigenti opposizioni fondate su argomentazioni di questo tenore: “sarebbe uno stravolgimento di uno dei valori aggiunti fondamentali delle denominazioni e dell’agricoltura biologica, cioè la territorialità”.

Vini sostenibili: dal naturale ai resistenti, una categoria “biodiversa”

In questo blog, ho sempre dedicato particolare attenzione alla vasta e variegata categoria del “vino sostenibile”, anche molto prima che quest’ultima fosse oggetto di apposito disciplinare di certificazione nazionale7

In particolare, ho scandagliato l’ambito, tanto complesso quanto in espansione, del cosiddetto “vino naturale”, con aggiornamenti, articoli e anche con un webinar ad hoc cui parteciparono produttori ed esperti.8

Il principio ispiratore di tutti questi interventi era ed è unitario e chiaro: oggi la vite e il vino devono rientrare nel campo vasto della sostenibilità; più precisamente devono fare la loro parte – come qualsiasi altra componente del mondo agricolo – per attenuare i loro impatti complessivi sull’ambiente che li circonda. Perché la vite e il vino sono, per quanto di loro pertinenza, al contempo vittime e carnefici delle crisi climatica e ambientale che attanagliano questo pianeta9.

Il vino naturale – al netto delle sue lacune, contraddizioni ed estremizzazioni – del campo della sostenibilità fa senz’altro parte.

E tanto basta, per quanto mi riguarda, perché lo si guardi con occhi attenti e rispettosi; se non proprio, per molti versi, “simpatizzanti”.

Questo stesso approccio, a mio modesto giudizio, va riservato al vino da vitigni resistenti.

Con lo stesso spirito laico, penso si possa convenire che un vino che, negli obiettivi dei suoi ideatori, ha quello di abbattere l’enorme quantità di pesticidi consumati e immessi nell’ambiente non può non trovare l’attenzione di quanti hanno una sensibilità ambientale appena adeguata ai tempi e alla posta in gioco.

Almeno fino a quando a carico di questo prodotto non emergeranno seri indizi di nocività o anche solo di rischio per la salute umana e per l’ambiente.

Prima, molto prima, delle esigenze di difesa della “territorialità10 vi sono quelle di tutela del territorio e del suo ambiente, nella sua duplice e inscindibile componente naturalistica e umana.

Pertanto, se a questi vini viene concessa l’opportunità di poter dimostrare, a parità con i loro omologhi convenzionali, il possesso dei requisiti previsti dalla legge e soprattutto dai rispettivi disciplinari di produzione per poter diventare vini a denominazione di origine protetta, fino a prova (scientifica) contraria è cosa buona e giusta.11

La giurisprudenza sul vino di qualità: webinar formativo per aziende e addetti ai lavori

Per restare in ambito di vino di qualità, DOP \ IGP, questa sera parliamo della sua tutela – in particolare di alcune sentenze che hanno a base questo tema – in un webinar formativo pera aziende e addetti ai lavori organizzato da Cibo Diritto e Agriforum.

I dettagli su questo blog e sulla sua pagina facebook.

21\6\2022

Avv. Stefano Palmisano

Ps: quel vino da Bronner, poi, è stato scelto dai commensali di quella cena citata all’inizio. Con loro notevole soddisfazione.

Se ti interessa il vino di qualità e la sua normativa di tutela, ti invitiamo al webinar di oggi, 21 giugno, alle 17.30, “La giurisprudenza sul vino di qualità”: per partecipare sulla piattaforma Zoom, invia una mail a palmi.ius@avvstefanopalmisano.it. In ogni caso, troverai la registrazione sulla pagina Facebook di Cibo Diritto.

Per consulenze e assistenza legale in materia di diritto vitivinicolo, contattaci: palmi.ius@avvstefanopalmisano.it

Foto di Klaus Böhm da Pixabay

1Sui vitigni resistenti, uno dei siti web più completi e aggiornati è questo: https://www.vinievitiresistenti.it/.

2Acronimo che viene dal tedesco “pilzwiderstandfähig” che significa “viti resistenti ai funghi”.

3Fondamentale in tal senso la sentenza del 25 luglio 2018 (causa C-528/16) della Corte di giustizia dell’Unione Europea che ha affermato che gli organismi ottenuti mediante la cosiddetta “mutagenesi” rientrano, in linea di principio, nell’ambito di applicazione della direttiva sugli OGM – Direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati – e sono soggetti agli obblighi previsti da quest’ultima.

4Dall’art. 1, par. 1, punto 20, lettera a), del Regolamento 2 dicembre 2021, n. 2021/2117/UE PARLAMENTO EUROPEO, a decorrere dal 7 dicembre 2021.

5Costituita dall’art. 93 e ss.del Regolamento della comunita’ Europea 17/12/2013, n. 1308/2013 REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli. Il primo comma dell’articolo in questione, rubricato “Denominazione di origine e indicazioni geografiche”, oggi recita: Ai fini della presente sezione si intende per:

a) “denominazione d’origine”, un nome, compreso un nome usato tradizionalmente, che serve a designare un prodotto di cui all’articolo 92, paragrafo 1:

i) la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico e ai suoi fattori naturali e umani;

ii) originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati;

iii) ottenuto da uve che provengono esclusivamente da tale zona geografica;

iv) la cui produzione avviene in detta zona geografica; e

v) ottenuto da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis.

b) “indicazione geografica”, un nome, compreso un nome usato tradizionalmente, che identifica un prodotto:

i) le cui qualità, notorietà o altre caratteristiche specifiche sono attribuibili alla sua origine geografica;

ii) originario di un determinato luogo, regione o, in casi eccezionali, paese;

iii) ottenuto con uve che provengono per almeno l’85 % esclusivamente da tale zona geografica;

iv) la cui produzione avviene in detta zona geografica; e

v) ottenuto da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis.

6Per consentire ai produttori di utilizzare varietà di viti che si adattino meglio ai cambiamenti delle condizioni climatiche e che abbiano una maggiore resistenza alle malattie, è opportuno prevedere disposizioni che permettano l’utilizzo di denominazioni d’origine per prodotti dalle varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera e da varietà di viti ottenute da un incrocio tra Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis.” (Considerando n. 28 del Regolamento n. 2021/2117/UE)

10Pur a voler dare per provato quello che, in realtà, sarebbe tutto da provare: che le istanze di difesa della territorialità risulterebbero compromesse dal riconoscimento di una Dop a un vino da vitigno resistente.

11Quello che si è avviato con la modifica del Regolamento 1308\2013, infatti, è un cammino che si prospetta lungo e non proprio agevole. Prima di tutto i Consorzi di Tutela devono approvare una modifica ai disciplinari di produzione prevedendo l’uso di queste nuove varietà. Per i primi due anni può essere consentito l’impiego solo per il 15% e poi, eventualmente, si potrà salire al 50%. Ma, secondo la normativa, queste modifiche ai Disciplinari dovranno essere approvate in sede comunitaria. Inoltre, è il caso di rammentare che ad oggi mancano i vitigni resistenti che possono in qualche modo avvicinarsi alle varietà tradizionali. Quando e se i nuovi vitigni resistenti vedranno la luce saranno poi le Regioni a doverli approvare. E ad oggi solo il Veneto, il Friuli e il Trentino, nonché la Lombardia, l’Emilia Romagna e l’Abruzzo hanno dato il via libera ad alcune varietà. Insomma, la rivoluzione dei “resistenti DOP” non appare proprio dietro l’angolo.

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