Vino – Etichette seducenti e informazioni carenti


In un post di poco tempo fa, prendendo spunto dalle varie irregolarità riscontrare durante la “Campagna di Controllo del Vino” realizzata, su tutto il territorio nazionale, nei primissimi mesi del 2019 dal Comando Carabinieri per la Tutela Agroalimentare, ci siamo occupati in questo blog di uno dei campi più significativi in cui quelle pratiche illecite erano emerse: quello dell’etichettatura.

Abbiamo, quindi, ricordato le specifiche “indicazioni obbligatorie” del vino e le sue principali fonti normative, di carattere comunitario (oggi “unionista”) e nazionale, partendo dal Regolamento n. 1308/2013.

Come si ricordava già in quel pezzo, però, quelle obbligatorie non sono le uniche indicazioni che possano comparire nell’etichetta di un vino.

Oltre a quelle, infatti, disciplinate dal già esaminato articolo 119 del Regolamento in questione, vi sono le “indicazioni facoltative”, previste dal successivo articolo 120:

  1. a) l’annata;
  2. b)  il nome di una o più varietà di uve da vino;
  3. c)  per i vini diversi da quelli di cui all’articolo 119, paragrafo 1, lettera g), termini che indicano il tenore di zucchero;
  4. d)  per i vini a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta, le menzioni tradizionali conformemente all’articolo 112, lettera b);
  5. e)  il simbolo dell’Unione che indica la denominazione di origine protetta o l’indicazione geografica protetta;
  6. f)  termini che si riferiscono a determinati metodi di produzione;
  7. g)  per i vini a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta, il nome di un’altra unità geografica più piccola o più grande della zona che è alla base della denominazione di origine o dell’indicazione geografica.

In epoca di storytelling del vino, a tutti i livelli, questo tipo di indicazioni “aggiuntive” può risultare, in certe situazioni, anche più importante delle stesse indicazioni obbligatorie.

Come è già stato messo in evidenza, infatti, esiste oggi un rischio concreto di “sovrabbondanza di informazioni”, specie per i vini a denominazione di origine o a indicazione geografica, che può deviare l’attenzione del consumatore verso elementi evocativi, culturali, artistici, a scapito delle informazioni ben più pregnanti (grosso modo quelle obbligatorie) sul prodotto in questione che dovrebbero rimanere in cima alle attenzioni di chi beve.

Con la bizzarra conseguenza che il vino divenga, al contempo, un prodotto e un produttore di immaginario più che un “prodotto destinato ad essere ingerito”, ossia – ai sensi del testo fondamentale europeo sulla sicurezza alimentare, il Regolamento 178\2002 – un alimento.

Conseguenza che, a sua volta, proprio con riferimento alle istanze di “food safety”, potrebbe comportare effetti non precisamente benefici per la salute pubblica.

Insomma, il pericolo è che il profluvio di nozioni e “dati” su un vino finisca per far degenerare la comunicazione sul prodotto in seduzione del prodotto.

Rischio tanto più concreto quanto più si pensi che, come già evidenziato, dalle informazioni obbligatorie continua a mancare qualsiasi riferimento alla tabella nutrizionale e all’elenco ingredienti, contrariamente a quanto accade per tutti gli altri alimenti.

Com’è noto, la seduzione ha bisogno di omissioni. O, quantomeno, di informazioni incomplete; se non tendenziose.

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