Wine for change
“L’associazione più forte è stata osservata per le aree con la più alta percentuale di terreni agricoli dediti alla viticoltura, con un’incidenza della malattia maggiore del 10% rispetto alle aree senza viticoltura.”
Quella di cui si parla è un’associazione assai poco edificante: tra rischio di malattia di Parkinson e pesticidi.
Le parole sono degli autori del recente studio epidemiologico francese che ha indagato la questione discretamente inquietante.
Su alcuni degli altri graziosi doni che l’uso e l’abuso della chimica di sintesi hanno recato all’ambiente e alla salute umana, chi scrive ha già avuto modo di soffermarsi, più volte, in altre sedi.
Qui, si vuole concentrare l’attenzione su un elemento in particolare: il ruolo della viticultura convenzionale, dunque del vino, nello spargimento a piene mani di fungicidi, insetticidi e altre sostanze parimenti benefiche per la terra e per i suoi abitanti, a partire dagli umani.
Come quello che accade, per dirne solo una, in ambito di bollicine, tanto che in una delle zone più vocate a questa produzione alcune persone si sono stancate di essere irrorate come peronospore e hanno addirittura indetto un referendum sul punto.
In altro modo, ma nello stesso senso di marcia nonché nella stessa regione, un gruppo di vitivinicultori dallo sguardo lungo sta provando a costruire un’area dedicata al vino buono, pulito e sano: più precisamente il primo distretto del vino bio Doc d’Europa.
E qualche mese fa si è saputo di lavori in corso in una Doc toscana per convertirla in biologica per disciplinare, anche in questo caso con l’ipotesi di una meritevole primogenitura su base continentale.
Insomma, oggi, il vino, come tutta l’agricoltura convenzionale, è una delle principali cause delle malattie della terra e di chi ci vive.
Ma, a quanto pare, potrebbe anche iniziare ad essere uno dei rimedi a quei mali.
Uno dei più buoni, peraltro.
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