Wine Kits e tutela del vino a denominazione di origine – La Cassazione “ricorda” le regole
La Cassazione si è occupata di recente di quelle curiose cassette che sono i “wine kits”, sorta di congegni da “piccolo chimico” applicati al vino.
All’imputato, presidente di un’azienda distributrice, era contestato l’art. 517 c.p. – “Vendita di prodotti industriali con segni mendaci” – per la “messa in commercio di prodotti denominati “Wine Kit” (contenenti mosto, tappi, etichette), recanti nelle confezioni le indicazioni di vini italiani a denominazione di origine protetta (quali (OMISSIS) e numerosi altri), la dicitura “vino italiano”, le effigi del tricolore italiano e del Colosseo, così da ingenerare negli acquirenti la falsa convinzione che trattasi di bevanda composta da mosti di origine italiana.”
Per questo fatto, era stato prima assolto in Tribunale e poi condannato in appello.
Aveva, quindi, proposto ricorso per Cassazione sulla base, tra gli altri, del motivo per cui i nomi riportati sulle etichette contenute all’interno del kit non sarebbero stati “idonei a trarre in inganno l’acquirente sull’origine e sulla provenienza dei mosti.”
La Corte ha rigettato il ricorso (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-01-2020) 09-03-2020, n. 9357).
Con riferimento al motivo sopra accennato, i Supremi Giudici hanno prima operato una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento, ricordando che “ai sensi della L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49, “l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 c.p.”. Tale disposizione precisa inoltre che “costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana“.
Quindi, sono passati a rammentare la posizione consolidata della stessa Suprema Corte in questa materia, per la quale “la ‘fallace indicazione’ del marchio di provenienza o di origine impressi sui prodotti presentati in dogana per l’immissione in commercio integra: a) il reato previsto dalla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49, qualora, attraverso indicazioni false e fuorvianti o l’uso con modalità decettive di segni e figure, il consumatore è indotto a ritenere che la merce sia di origine italiana; b) l’illecito amministrativo previsto dall’art. 4, comma 49 bis, della medesima legge qualora, a causa di indicazioni di provenienza insufficienti o imprecise, ma non ingannevoli, il consumatore è indotto in errore sulla effettiva origine dei prodotti.”
Sulla base di queste premesse, la conclusione non poteva che essere la seguente: “Nel caso in esame, è di tutta evidenza che il consumatore, nell’acquistare il “Wine Kit”, fosse tratto in inganno sull’origine italiana del mosto, utilizzato per preparare la bevanda al gusto di vino, in quanto l’indicazione nelle confezioni di vini italiani a denominazione di origine protetta (quali (OMISSIS) e numerosi altri), la dicitura “vino italiano”, le effigi del tricolore italiano e del Colosseo sono elementi idonei a ingenerare nel consumatore la falsa convinzione dell’origine italiana – non ovviamente del ‘vino’ ma – del mosto medesimo, utilizzando per la preparazione della bevanda.”
Da tutto ciò, scaturisce questo principio di diritto: “integra il reato previsto dall’art. 517 c.p., in relazione alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49, la messa in circolazione di una bevanda, da comporre ad opera del consumatore, evocativa del gusto di un vino “doc” italiano, nel caso in cui il mosto, fornito dal venditore, non provenga, diversamente da quanto desumibile dalla confezione (recante l’indicazione di vini italiani, le effigi della bandiera italiana e del Colosseo), da vitigni italiani.”
Com’è evidente, le regole di tutela del vino – almeno dei vini a denominazione di origine – valgono, anche e soprattutto, quando si tratti di “bevanda al gusto di vino da comporre ad opera del consumatore”.
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